A una settimana dal voto per l’elezione del parlamento europeo, i tempi sono più che maturi per una riflessione strategica, che consideri insieme il contesto e i possibili sbocchi politici di questa campagna elettorale.
Sulla scena mediatica di questi giorni non compare altro se non lo scontro – oramai divenuto edemico- tra i due azionisti di maggioranza, Cinque Stelle e Lega, la cui forzata alleanza politica (non elettorale) ha finora prodotto più anomalie che successi. Si tratta, quindi, di una campagna elettorale sostanzialmente inedita, che vede il terreno di scontro inasprirsi più all’interno di Palazzo Chigi, piuttosto che tra maggioranza e opposizione. Ciò potrebbe corrispondere a una precisa strategia dei gialloverdi di monopolio dell’opinione pubblica, lasciando alle forze di opposizione spazi più ridotti e, di conseguenza, meno risorse di mobilitazione, affinché le possibili soluzioni alternative all’attuale esecutivo non emergano dall’ombra.

Sta di fatto, però, che se si compie lo sforzo di guardare con distacco le dinamiche di questo tornado politico, ci si rende conto che altre soluzioni rispetto all’attuale maggioranza di Governo sono possibili, che qualche bagliore nella tempesta si può intravedere. Alla tempesta illiberale dovrà pur far seguito la quiete di un liberalismo ben schierato al centro. Anche in virtù del fatto che qualche vagito liberale, al di là della forte risonanza data a sovranisti e populisti, ha cominciato a farsi strada anche in Europa, dove il contraccolpo della Brexit ha quasi dappertutto smorzato le spinte centrifughe. A ben vedere, tra i Paesi dell’Unione europea chiamati al voto tra il 23 i il 26 maggio, solo in Italia si è assistito a una campagna elettorale segnata dai toni forti e dalla ricerca dello scontro con Bruxelles, come ad esempio nel caso dell’annunciato sfondamento del vincolo del 3% del rapporto deficit/pil da parte del vice ministro Matteo Salvini. Con la conseguenza che lo spread ha toccato 292 punti.
In Italia, le principali vittime del voto del 4 marzo, e del successivo accordo di Governo tra M5S e Lega, sono state le forze liberali. Per due ragioni: anzitutto perché del tutto estrapolate dai giochi di potere ministeriali, dopo la rottura di Salvini con Berlusconi; e poi perché ridimensionate all’interno del maggiore partito di opposizione, con la sconfitta di Matteo Renzi e il cambio alla guida del Partito democratico.

Ora, è vero che non basterà una tornata elettorale, per di più europea, per dare vita a un polo liberale in grado di competere con le forze ora maggioritarie, ma è anche vero che il voto del 26 maggio, se strategicamente espresso, potrà correggere nel breve periodo le tendenze più illiberali dell’attuale maggioranza. Un voto a Forza Italia sarebbe il più utile in tal senso. Una crescita di Forza Italia comporterebbe la possibilità di fermare la deriva sfascista grillina. A quel punto, la volontà politica di Matteo Salvini di smarcarsi dalla stretta dei 5 Stelle potrebbe contare sui numeri, che aprirebbero la strada ad una maggioranza di centrodestra: maggioranza che potrebbe esprimere un Governo, sì, a trazione leghista, ma con una decisiva componente moderata e liberale, che rassicurerebbe il posizionamento dell’Italia in Europa e nei mercati.

Naturalmente, perché questo scenario si avveri occorrerà passare attraverso il Presidente della Repubblica e il voto anticipato. Tenendo sempre a mente – si spera- il pericolo che significherebbe il persistere dell’attuale maggioranza illiberale allo scadere del settennato di Sergio Mattarella. A quel punto, a capo del nostro ordinamento, quale custode delle regole costituzionali e democratiche ci ritroveremmo?