Il 5 gennaio l’Italia si è svegliata con una preoccupazione in più, quella di dover fare i conti con l’avvio del procedimento per la localizzazione, la costruzione e l’esercizio del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e del parco tecnologico sulla base della proposta di carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI). Sul sito depositonazionale.it è uscito l’elenco delle aree potenzialmente idonee; sessantasette zone in Italia che hanno appreso dal web, senza la minima preventiva concertazione, di essere tra le papabili ad ospitare le scorie radioattive italiani. Parliamo di un sito che costerà allo Stato 900 milioni di euro e sarà a disposizione di tutto il territorio nazionale.

Il problema è che il metodo con cui sono state scelte le aree è stato poco comprensibile (per non dire del tutto incomprensibile) poiché ci sono zone sismiche, luoghi alle porte della capitale, territori a totale vocazione turistica, aree a disagio infrastrutturale ed intere province prese di mira.

Il processo è partito il 15 febbraio 2010, con il decreto legislativo n. 31 che ha dato mandato alla società per azioni SOGIN di trovare il sito adatto, ed è durato la bellezza di dieci anni, al termine dei quali, senza neanche passare dalla Conferenza Stato Regioni, o Stato Città, è stato pubblicato all’insaputa di tutti, interessati inclusi. Anche le Regioni sono state estromesse dal processo, nonostante abbiano piani paesaggistici ed urbanistici approvati ed a cui ci si deve attendere. Insomma, una vera azione al buio.

Il risultato è stata una sollevazione popolare ed istituzionale, d’altronde, se non condividi con nessuno questo percorso, come puoi pretendere che alla notizia ci siano reazioni di gioia o di plauso? Impossibile.

E così sono partite mozioni, comitati a difesa del territorio, richiesta di referendum, audizioni negli enti locali, coordinamenti di natura tecnica.

I comuni interessati dal piano, ora hanno 60 giorni per scrivere le osservazioni. Solo sessanta.

Pensate che corsa dovranno fare le amministrazioni locali; spesso si tratta di piccoli comuni che non hanno un ufficio tecnico organizzato con figure professionali adatte a scrivere una controdeduzione ad un piano nazionale. Sessanta giorni per scampare dalle scorie.

Ecco chi sono

PIEMONTE – 8 zone tra le province di Torino e Alessandria (Comuni di Caluso, Mazzè, Rondissone, Carmagnola, Alessandria, Quargento, Bosco Marengo e così via)

TOSCANA-LAZIO – 24 zone tra le province di Siena, Grosseto e Viterbo (Comuni di Pienza, Campagnatico, Ischia e Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Gallese, Corchiano)

BASILICATA-PUGLIA – 17 zone tra le province di Potenza, Matera, Bari, Taranto (comuni di Genzano, Irsina, Acerenza, Oppido Lucano, Gravina, Altamura, Matera, Laterza, Bernalda, Montalbano, Montescaglioso)

SARDEGNA – 14 aree tra le zone in provincia di Oristano (Siapiccia, Albagiara, Assolo, Usellus, Mogorella, Villa Sant’Antonio, Nuragus, Nurri, Genuri, Setzu, Turri, Pauli Arbarei, Ortacesus, Guasila, Segariu, Villamar, Gergei e altri)

SICILIA –  4 aree nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta (Comuni di Trapani, Calatafimi, Segesta, Castellana, Petralia, Butera).