Che il reddito di cittadinanza sia una misura politicamente divisiva è fuori di dubbio. Un argomento buono per tutte le campagne elettorali, di qualsiasi partito. I fautori sbandierano la povertà eliminata, e detrattori rivendicano le somme per altro genere di sostentamento all’economia del Paese.

Al 7 gennaio 2020, 1,6 milioni di nuclei hanno presentato una domanda di Reddito/Pensione di Cittadinanza all’Inps: 1,1 milione (67%) sono state accolte, 88 mila (5%) sono in lavorazione e 457 mila (28%) sono state respinte o cancellate. Da aprile 2019 ad oggi 56 mila nuclei sono decaduti dal diritto.

Questi i dati che l’Osservatorio dei Diritti ha fatto emergere al 01.01.2020.

Spiega invece un dossier di Unimpresa che

se tutto restasse così com’è, ovvero se il Movimento 5 Stelle riuscisse ad avere la meglio su Conte (che è intenzionato a rivedere il sistema), il Reddito di Cittadinanza nei prossimi tre anni (2020-21-22) costerà ben 26 miliardi di euro all’Erario.

Numeri importanti che stanno facendo finire il RdC direttamente, e senza neanche molti fingimenti, sulla graticola del Governo. Pochi giorni fa è stato direttamente il Ministro agli Esteri Luigi Di Maio a scoperchiare il vaso parlando di “una voglia di sabotare il reddito di cittadinanza” (Fonte Il Messaggero del 29.09.2020).
Pare che Giuseppe Conte si sia stufato di ricevere costantemente accuse sulla misura assistenzialista dello Stato, a partire dal mondo produttivo italiano, che gradirebbe ben azioni a sostegno dell’occupazione. Ma c’è dell’altro; perchè ormai, con cadenza almeno bimestrale, leggiamo fatti di cronaca abbinati al sussidio: mafiosi che chiedono (ed ottengono) il reddito, camorristi liberi di delinquere con i bancomat dell’Inps, delinquenti seriali che ricevono i contributi senza alcun controllo patrimoniale. Sono fatti reali che hanno fatto indispettire gran parte della società, ed anche dei partiti.

M il caso più eclatante di questa fine estate è stato quello dei fratelli Bianchi, che conducevano una vita lussuosa da nullatenenti, ma col reddito dello Stato.

I Cinque Stelle, capita l’antifona, hanno anche provato a tracciare una strada, legittima peraltro, mettendo a disposizione i percettori di RdC agli enti locali (lavori manutenzione, di pulizia e quant’altro). Ma l’Italia, si sa, è un ginepraio di burocrazia, ed anche le amministrazioni più virtuose si stanno perdendo tra carte sulla privacy ed accordi di programma che coinvolgono diversi livelli di governo. Tradotto: a distanza di due anni è tutto fermo o, al massimo, in itinere.

Attualmente siamo alla fine della Fase-2 del reddito, quella che prevedeva l’inserimento nel mondo del lavoro (il secondo pilastro del RdC), navigator formati e operativi (bah!) e lo sviluppo di una supermegagalattica App (mai realizzata ma ancora in fase di progettazione).

Scriveva così la Corte dei Conti pochi mesi fa

Per quel che riguarda il secondo pilastro del RdC, quello finalizzato a promuovere politiche attive per il lavoro, i risultati appaiono al momento largamente insoddisfacenti e confermano le perplessità avanzate dalla Corte al suo avvio. I dati a disposizione, comunicati dall’Anpal Servizi, evidenziano che alla data del 10 febbraio 2020, i beneficiari del RdC che hanno avuto un rapporto di lavoro dopo l’approvazione della domanda sono circa 40mila.

Ventisei miliardi di euro italiani per trovare lavoro a circa 40 mila persone. Voi che ne pensate?