Nell’arco della nostra storia repubblicana, le crisi di governo non sono mai mancate e ne abbiamo assaporate di tutti i gusti. La frequenza è dovuta, come ormai si sostiene da tempo, all’assetto istituzionale così come inserito in Costituzione nel 1948. La mancata razionalizzazione degli equilibri dei poteri costituiti e l’eccessiva frammentazione del tessuto politico-sociale sono sempre stati il tallone d’Achille della Repubblica. Non per tutti, certo. Perché se a perderci negli anni è stato l’intero Paese, nella sua collettività sociale (all’interno) e nella sua compagine unitaria (all’esterno), con  le grandi sconfitte a cui sistematicamente si è andati incontro di fronte alle annunciate sfide globali, a trarne sempre più vantaggio è stato chi – in assenza di ordine – ha assunto il controllo funzionale delle risorse da spartire socialmente: gli addetti al wellfare state, gli evasori fiscali, le corporazioni burocratiche, percettori politici e amministrativi di tangenti, beneficiari sleali di denaro pubblico. E a coronare la categoria vanno inseriti tutti quei gruppi politici, ma anche industriali e sindacali, che difendono nei momenti decisivi, con palese demagogia, gli interessi dei gruppi menzionati. Questa sacca di privilegiati  generata da un sistema istituzionale inefficiente dovrebbe essere il primo pensiero di ogni messia che si appresta a salvare l’Italia. Ma intanto…

Ad aprire la crisi lo scorso 8 agosto è stato il Ministro dell’Interno, nonché Vice Premier, Matteo Salvini. Davanti al tentato diktat del Capitano di andare subito ad elezioni anticipate, ha cominciato a farsi strada la possibilità di un’intesa – fino a ieri inimmaginabile- tra Pd e M5s,  per portare in salvo la legislatura, come il buon senso istituzionale richiederebbe in tempi più normali. Così, tra chi grida all’inciucio da una parte e chi si scopre improvvisamente garante della democrazia parlamentare dall’altra, il sodalizio avventuroso tra Lega e 5 Stelle, le due forze politiche più simili nell’interpretare e strumentalizzare i sentimenti di antipolitica dilaganti nel nostro Paese, è giunto prematuramente alla fine. Ci sarà tempo per i bilanci. Ma intanto, da questa crisi di fine agosto chi  uscirà vincitore?

Se secondo i sondaggi il leader della Lega sembrerebbe aver accusato il colpo, per aver consegnato troppo presto alla storia il Governo gialloverde,  un’osservazione va comunque fatta: perché se le trattative in corso per un nuovo Governo avranno un esito positivo, a girare le spalle agli elettori e a cambiare pelle sarà il M5s. Allora Salvini, dai banchi dell’opposizione, non avrebbe certo problemi a preparare la riscossa. Un’alleanza col “partito delle poltrone” per i 5 Stelle potrebbe essere letale: significherebbe raccogliere i frutti indigesti di anni di diseducazione politica impartita ai propri sostenitori.

Salvini potrebbe aver strategicamente colto che è sulla credibilità che si giocherà la partita decisiva, quando messi fuori gioco e delegittimati tutti gli avversari, non troverà più ostacoli sulla strada che lo  condurrà dritto dritto a Palazzo Chigi.

Una credibilità che costruita a colpi di Instagram e Twitter ha scompaginato le carte in tavola della politica italiana. Poca sostanza e molta superficie hanno fatto sprofondare nel dimenticatoio i problemi reali di questo paese. Si pensa prima a tagliare il numero dei parlamentari, nonostante l’economia, senza incentivi agli investimenti, stia praticamente affondando. Si pensa ad elargire misure assistenziali, quando la mancanza d’ordine nel regime di wellfare è la vera emergenza. E di fronte al profilarsi dell’ennesimo “inciucio” dai giorni contati, a brindare saranno quelle sacche di privilegiati assistiti che sperano che il disordine continui a regnare.