In queste ultime settimane si parla molto di CETA. Cosa si nasconde dietro questa sigla che porta l’avversità del governo e l’approvazione di numerosi rappresentanti di categoria?
Cerchiamo di spiegare con la massima trasparenza cosa sia il CETA e cosa rappresenti per l’Europa e soprattutto per l’Italia.

Il CETA è un accordo tra Ue e Canada entrato in vigore provvisoriamente il 21 settembre 2017, attualmente in via di ratifica nei paesi dell’Unione. L’accordo vuole aprire i mercati canadesi di merci, servizi, appalti pubblici e tutelare i diritti del lavoro e dell’ambiente; permettere inoltre alle PMI di aumentare l’export in Canada. Il CETA eliminerà i dazi sui beni industriali cercando di creare pari condizioni di vendita per le imprese, proteggendo 143 indicazioni geografiche europee. Si stima che farà aumentare il fatturato Ue di 12 miliardi di Euro l’anno.

Ma come può avvenire tutto questo? Intanto partiamo da un presupposto banale ma utile ad inquadrare la normativa. Il Canada è il decimo partner commerciale dell’Unione europea e gli scambi con questo Paese rappresentano il 2% degli scambi totali Ue. L’Europa è invece il secondo partner commerciale per il paese Nordamericano e gli scambi con noi rappresentano il loro 10% sul totale.
L’azione più importante del CETA è sicuramente l’eliminazione del 98% delle tariffe Canadesi ed il 92% di quelle Ue con un duplice vantaggio: export competitivo ed import più agevolato per i consumatori. Questo, secondo le proiezioni degli uffici europei, porterà a risparmiare 590 milioni di Euro l’anno alle imprese del nostro continente.

Pensiamo solo al comparto export europeo verso il Canada di generi alimentari e bevande, del valore stimato di 3,4 miliardi di Euro l’anno. Dal CETA in poi avremo 32.000 tonnellate di formaggio che l’Ue potrà esportare senza dazi (prima erano soltanto 13.500 tonnellate); dal CETA in poi anche le acque minerali potranno viaggiare esentasse, mentre prima c’era un dazio pari all’11%. Pensiamo anche al vino, dove la politica Canadese era molto rigida, con dazi che andavano da 1,87 a 4,68 centesimi di dollaro canadese al litro a seconda della gradazione alcolica; tasse che oggi non vengono più pagate.
Il CETA ha poi ratificato un accordo sulle indicazioni geografiche: ben 143 riconosciute, sostenuto il divieto di emulazione e sancito il principio della coesistenza, che tanto bene fa all’Italia.

L’Italia appunto. Cosa significa il CETA per il nostro Paese? L’Italia è il secondo maggior esportatore dell’Ue di alimenti trasformati, di cui il 23% di tutte le esportazioni sono dirette al Canada, per un valore complessivo di 528 milioni di euro (dati 2015). L’Italia è leader dell’export di prodotti lattiero-caseari, con dazi che fino a ieri erano del 227%.

Ecco alcuni esempi tangibili:
– PRIMA DEL CETA: il parmesan messicano poteva essere venduto con la foto del Colosseo o dello stivale e della nostra bandiera.
– DOPO IL CETA: il parmesan può essere venduto ma senza riferimenti al nostro paese e con la scritta (made in Mexico)

– PRIMA DEL CETA: in Canada esiste il marchio prosciutto di Parma, prodotto canadese, e quello importato dall’Italia aveva l’obbligo di chiamarsi original prosciutto.
– DOPO IL CETA: entrambi i prodotti si potranno chiamare prosciutto di Parma, ma con la scritta ben visibile Made in Italy o Made in Canada.

Torniamo all’Unione Europea, se fino ad ora abbiamo parlato di export, ora è il momento dell’import, ovvero le conseguenze dell’accordo sui consumatori. Il CETA non cambia in alcun modo i parametri filo-sanitari dei due paesi, in particolare quello che risponde alle norme di sicurezza filo-sanitaria. Mentre i prodotti OGM e carne agli ormoni sono ancora inclusi nella lista nera “no import” europea.
Il CETA poi ha delle clausole di salvaguardia delle quali se ne parla poco e che servono a monitorare stranezze commerciali. Mettiamo che per un determinato prodotto si stabilizzi un import abnorme tale da minacciare la produzione europea. In questo caso la Commissione europea può aprire un’inchiesta e sospendere le esenzioni tariffarie per anche due anni.

E in Italia cosa dicono gli interessati? Ne citiamo uno che ben rappresenta il fronte del “SI”: il presidente del consorzio a tutela del Grana Padano (la DOP più esportata al mondo) Cesare Baldrighi, il quale spinge per una rapida approvazione, “per evitare che si torni ad una situazione in cui tutti fanno quello che vogliono”.
Il fronte del “NO” è invece capeggiato dal Governo e Di Maio in persona che dice “il trattato… è ritenuto lesivo degli interessi del nostro Made in Italy…”.

Tra tante tiritere e prese di posizione che si scateneranno di qui a breve, c’è un dato del quale nessuno parla: un +12,8% di export europeo verso il Canada dall’entrata in vigore (provvisoria) del CETA. Ogni altro commento al riguardo sarebbe superfluo. Noi ci auguriamo solo non passi il fronte degli “improvvisati” perché se dopo il voto di Camera e Senato si dovesse procedere alla non ratifica dell’accordo sarebbe a quel punto compito del Governo inviare una comunicazione al Consiglio facendo decadere tutti gli effetti dell’accordo. Un disastro.