Le elezioni del 27 ottobre in Umbria hanno confermato quello che ormai da tempo era nell’aria. In seguito agli scandali sanità, che a aprile scorso si sono abbattuti sull’amministrazione della Regione, costringendo la Presidente Catiusca Marini (ex Partito Democratico, ora Italia Viva) alle dimissioni, le speranze che l’ex roccaforte rossa potesse resistere erano davvero poche. A niente è servito l’accordo suggellato in extremis tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, che hanno posto a capo di un “patto civico” l’imprenditore Vincenzo Bianconi, l’homo novus accorso da non si sa bene dove per salvare il salvabile. La candidata del centrodestra, la senatrice leghista Donatella Tesei, è stata premiata largamente dagli elettori con il 57% dei consensi, riportando un distacco finale di oltre 20 punti sull’avversario, posizionato al 37%. Una vittoria a mani basse dunque, che lascia qualche spunto di riflessione.

Prima di tutto, la conferma dei trend a vantaggio del centrodestra in controtendenza con la coalizione nazionale di Governo. Andamento che era ben visibile anche in Umbria, dove in molti comuni importanti – Perugia, Terni, Foligno, Spoleto – si era assistito a un cambio di casacca negli ultimi anni. A gennaio 2020 toccherà aprire le urne all’Emilia Romagna, dove, nel caso di un’altra vittoria a trazione leghista, Matteo Salvini non esiterà a chiedere più ostinatamente il conto al Governo.

Emerge anche un riposizionamento delle forze politiche all’interno della coalizione di centrodestra. Mai i tanti umbri liberali e moderati, che negli anni avevano sperato di veder la propria Regione “libera”, si sarebbero sognati una vittoria a tinte leghiste (37%). In più, c’è il sorprendente risultato del partito di Giorgia Meloni che, passando in doppia cifra (10,40%), è l’unica forza politica a crescere in termini assoluti rispetto alle elezioni europee, lasciando a Forza Italia il terzo posto e alla Lega 17 mila voti in meno rispetto a maggio 2019.

Alle forze politiche uscite sconfitte dal confronto elettorale, l’Umbria impartisce una lezione importante: le elezioni regionali non si nazionalizzano o si rischia di fare il gioco dell’avversario. Se Matteo Salvini cercava di delegittimare l’alleanza nazionale tra Pd e M5s, avergli permesso di batterla (e di molto!) a livello regionale è stato come segnare un autogol. E in questo caso, le elezioni non solo sono state nazionalizzate, ma anche ridicolizzate. Dichiarazioni suicide come “gli abitanti dell’Umbria sono pochi, quindi non contano” oppure “utilizzeremo l’Umbria come laboratorio di questa alleanza” farebbero meglio a essere rimangiate. E subito. Perché un conto è perdere, un altro conto è perdere male.

Ora, nonostante la vittoria inappellabile, il lavoro della nuova giunta non sarà facile. I cittadini umbri hanno dato un segnale chiaro in favore del cambiamento, che in un modo o nell’altro dovrà arrivare. Ma come? In un territorio gravato da anni e anni di occupazione di potere, la Lega dovrà armarsi di altro oltre agli slogan. Vedremo allora se la cosiddetta “rivoluzione del buonsenso” potrà essere esportata anche in ambienti storicamente ostili e sistematicamente compromessi come è l’Umbria.