Ci risiamo. Sea Watch 3 Vs ministero dell’Interno.

In queste ore delicatissime di trattative in mare aperto ci sono conti che non tornano. Perché da 13 giorni la nave che batte bandiera tedesca nei pressi di Lampedusa sta solcando le acque del Mediterraneo aspettando che il governo italiano permetta l’approdo sull’isola.

Carola, la capitana della Sea Watch 3

Qualcuno minaccia lo sciopero della fame, altri dicono di volersi buttare in mare o tagliarsi la pelle. Non ce la fanno più, si sentono in prigione. L’Italia mi costringe a tenerli ammassati sul ponte, con appena tre metri quadrati di spazio a testa

Queste le parole di Carola Rackete, giovane capitana trentunenne della nave Ong.

Qualcosa dicevamo non torna.
Dallo screenshot degli spostamenti tracciati con il gps nei primi dodici giorni risulta che questi poveri migranti abbiano percorso in mare aperto centinaia di chilometri. Uno zig zag a confine con il mare di competenza italiana, un braccio di ferro con il Ministro Matteo Salvini che non sta portando ad alcuna soluzione. Una guerra fredda tra l’Italia e un’organizzazione in cerca di popolarità.

il percorso dei 12 giorni della Sea Watch in mare aperto in attesa di approdare a Lampedusa

In questo contesto una considerazione ci sorge spontanea, e riguarda l’aspetto umano di chi dirige le operazioni di approdo: avessero avuto a cuore le condizioni di queste persone, in dodici giorni di navigazione sarebbero potuti arrivare, e sbarcare, in Francia, Grecia, Cipro, Spagna o Portogallo (fuori dal Mediterraneo!). Non una cosa da poco. La scelta di fermarsi a perimetrare il confine con quarantadue persone stremate a bordo ci pone dei seri dubbi, anche perché Tripoli era la destinazione iniziale di approdo e non Lampedusa. “L’Italia mi costringe a tenerli ammassati sul ponte, con appena tre metri quadrati di spazio a testa” dice la capitana a bordo Sea Watch. Ma perché non scegliere un’altra meta anziché giocare a Risiko con il Belpaese? Cosa è questa ossessione verso l’Italia? E perché proprio Lampedusa?

Un braccio di ferro sulle spalle di chi scommette la propria vita per trovare luoghi migliori dove vivere non si può accettare. E non c’entra la Lega di Salvini. C’entra il buonsenso di chi prende uno stipendio per fare questo lavoro (Carola Rackete per esempio).

Sembra invece che gli egoismi continuino ad essere predominanti nella nostra società, e che si cerchi costantemente una smisurata visibilità anziché il bene comune.
A discapito dei poveri Cristi.