Sul piano della tattica parlamentare, la mossa di Matteo Renzi può essere considerata un capolavoro. Prima, detta la linea per la creazione del Conte bis, poi uscendo dal Partito democratico destabilizza – e non poco- la nuova maggioranza. A capo di una nuova forza politica, “Italia Viva”, e forte dei suoi fedelissimi in parlamento, cruciali oltretutto per la tenuta dei numeri in Senato, l’ex premier diventa un interlocutore imprescindibile del governo e ago della bilancia della maggioranza. In pratica, con un potenziale partito-ricatto e, per giunta, in un periodo di minimo consenso personale dell’ex segretario del Partito Democratico. Da quanta sfrontatezza e irresponsabilità sia stata dettata questa operazione sarà il tempo a dirlo, anche se la storia non è scevra di insegnamenti. Per ora si possono analizzare gli scenari che si profilano, primo fra tutti il riempirsi di quel buco al centro da tanto tempo evocato.

Un manifesto programmatico del neonato partito renziano è strato scritto dal deputato Luigi Marattin su Il Foglio. Da cui si evince che: 1- la nuova formazione guarderà oltre le tradizionali categorie politiche, collocandosi al centro più convenzionalmente che ideologicamente; 2- sarà essenzialmente riformista, creando un’alternativa all’assistenzialismo grillino-democratico da una parte, e al sovranismo immobilista di Lega e Fratelli d’Italia dall’altra; 3- il progetto di cambiamento sarà innovativo e inclusivo, con una sensibilità non solo nazionale, prendendo il via proprio dalla consapevolezza delle emergenze globali.

Un partito smart e dinamico, quindi, che punterà su merito, semplificazione e liberalizzazioni, non tralasciando programmi di inclusione e di incentivazione. Temi effettivamente da troppo tempo orfani di un centro moderato, che sembra ingrandirsi e svuotarsi sempre più con il profilarsi dei due nuovi blocchi politici: una maggioranza giallo-rossa tradizionalmente assistenzialista e un’opposizione sovranista capitanata dalla Lega con l’appendice di Fratelli d’Italia.

Dove Forza Italia fatica ad imporsi, perché alle dipendenze elettorali di Salvini e priva di una leadership chiaramente riconoscibile, Renzi e i suoi lanciano una scommessa al centro. Ma di quale centro stiamo parlando? Quante sono le possibilità di far breccia nel consenso degli italiani?

Considerando gli alti livelli di astensionismo, le possibilità non sembrano essere poche. Esiste evidentemente un elettorato insoddisfatto delle offerte politiche attualmente disponibili sul mercato.  Ma è difficile che il sostegno degli elettori, specie quando a spirare forte sono i venti dell’antipolitica, si guadagni con un’operazione di palazzo, quale di fatto è stata sin dal principio – dall’estromissione di Salvini dalla maggioranza- l’iniziativa renziana. Senza considerare che il centro potrebbe essere più affollato del previsto, a seconda dei disegni di vari attori, primi fra tutti Toti e Calenda. Al momento i primi sondaggi danno Italia viva al 3,2%.

Con buona pace della volontà degli elettori, anche questa volta, come sempre in Italia quando sul tavolo si mischiano le carte, a farla da padrone e a sancire l’effettiva riformulazione dello scacchiere politico sarà il varo della nuova legge elettorale. Se effettivamente si penderà per il ritorno al sistema proporzionale, verso cui spingerà Renzi, e che sancirebbe un accordo alla pari tra M5s e Pd, allora il pluralismo partitico si strutturerebbe, naturalmente senza un partito pivot à la DC come nella Prima Repubblica e senza l’opposizione esclusiva di due coalizioni di centrodestra e di centrosinistra.  Chi vivrà, vedrà. Per il momento, Renzi si godrà tutte le attenzioni e le carezze all’interno della maggioranza, nonché l’imbarazzo dei 5 stelle che si ritrovano alleati direttamente col nemico di sempre. E, senza colpi di mano, aspetterà.