Parliamoci chiaro, questa accozzaglia di persone che stanno al governo, non la capiscono neanche loro medesimi. Se non fosse per il fatto stesso di stare al governo e vivacchiare seduti comodi su quelle poltrone che garantiscono potere, soldi e sostentamento economico del codazzo che li accompagna, sarebbero già l’uno contro l’altro, come da un quinquennio a questa parte, spontaneamente!

Ma c’è una data che tiene tutti col fiato sospeso e un argomento del quale nei corridoi di Montecitorio e di Palazzo Madama se ne parla sottovoce ma se ne parla spesso. È abitudine trovare capannelli di parlamentari a disquisire su quante firme si siano raggiunte. Ma di quale firme si sta parlando?

L’8 ottobre scorso la Camera dei Deputati ha votato, con 554 sì e 14 no, il famigerato taglio dei parlamentari (sul quale ci siamo espressi in maniera netta). E proprio il 12 gennaio 2020 scade il tempo utile per raccogliere le firme necessarie al referendum che servirebbe ad abrogare la legge. Servono 65 firme al Senato della Repubblica. Sono arrivati a 50, ne mancano 15. Ecco i sussurri in Transatlantico e in Salone Garibaldi che vanno per la maggiore: chi può ancora firmare? Chi sono coloro che aspettano fino all’ultimo per apporre il loro nome nella lista?

Il fatto è questo: si concretizzasse una crisi di governo, tale da sciogliere le Camere prima del 12 gennaio, si voterebbe in primavera con l’attuale sistema elettorale quindi senza il taglio dei parlamentari.

Nel caso in cui la raccolta firme raggiungesse il tanto atteso numero “65” le cose potrebbero assumere un alone diverso: a conti fatti il referendum potrebbe essere indetto anche a maggio, con conseguente possibilità di voto a settembre 2020 ma ovviamente con un numero ridotto di parlamentari (230 deputati e 115 senatori in meno). Questo certificherebbe una prosecuzione della legislatura in corso. Chi, sapendo di essere con molta probabilità all’ultimo giro, voterebbe per far cadere il governo in carica? Non tutti sarebbero cuor di leone.

Quindi il nodo è tutto in una crisi entro Natale o meno, con uno sguardo verso il 12 gennaio. Se la crisi si materializzasse si potrebbe votare con il rosatellum per eleggere 900 parlamentari. Se invece si arrivasse al 12 senza crisi la bilancia penderebbe comunque per il “non voto” e la conclusione della legislatura (povero Mattarella…) a prescindere dal referendum che servirebbe a quel punto solo per allungare di qualche mese la legislatura.

Cosa succederà? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto ci godiamo un deplorevole spettacolo di malgoverno. Sperando di tornare presto alle urne, con una più dignitosa e definita legge elettorale.