In Italia si discute di Tav da trent’anni. La prima intesa tra Italia e Francia risale al 1992, il primo studio di progetto è del 1996. In quegli stessi anni, l’Unione europea inserisce la Torino-Lione nella lista dei progetti prioritari delle reti transeuropee di trasporto, in quanto tratta del corridoio 5 che unisce Lisbona a Kiev.

L’opera vale 8,6 miliardi ed è finanziata per il 40% dall’Europa. Oggi la Torino-Lione è un progetto esecutivo, con le gare formalmente “sospese” in attesa delle decisioni del Governo. Il 21 febbraio la Camera ha approvato la mozione presentata da M5S e Lega che di fatto congela la Tav, impegnando il Governo a ridiscutere integralmente il progetto. Un blocco su cui si rischia uno scontro decisivo tra le due anime della maggioranza, con i 5 stelle storicamente dalla parte del movimento No Tav, e la Lega schierata invece a favore del progetto.

L’immobilismo del Governo ha dato il via, per la prima volta, anche a una mobilitazione dei Sì-Tav, partita dalla città di Torino. Sempre dal Piemonte arriva la proposta del Presidente della Regione Sergio Chiamparino di rimettere la questione al referendum regionale, da accorpare alle elezioni regionali e alle europee. Sulla decisione del Governo aleggia il risultato negativo dell’analisi costi-benefici (Acb) sulla Tav commissionata dal Ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. Lo studio, che ogni impresa svolge quando decide un investimento, è un’analisi parziale microeconomica e può essere applicato per dare un rendiconto trasparente all’opinione pubblica dei benefici sociali del singolo progetto. Oltre ad essere stata utilizzata con fini ostentatamente demagogici, l’Acb sulla Tav è stata erroneamente strutturata come analisi macroeconomica di finanza pubblica. Ci si è chiesti, cioè, quante scuole e ospedali si possono costruire con i soldi della Tav, e non se il progetto ridurrà effettivamente il traffico su gomma e l’inquinamento sulla direttrice verso la Francia (uno degli obiettivi dichiarati dell’opera).

Tra i “costi” imputati alla Tav, ben 4,5 miliardi sono minori pedaggi autostradali e accise sui carburanti per lo spostamento del traffico da gomma a rotaia. Ma poiché un obiettivo di benessere sociale è proprio ridurre l’inquinamento si arriva all’assurda conclusione che più la Tav raggiunge il suo scopo, meno conviene farla. Sulla partita delle infrastrutture si sta sta giocando il futuro dell’esecutivo? Difficile a dirsi, con i due azionisti di Governo pronti a fare tutto e il contrario di tutto. Sicuramente si sta giocando il futuro dell’Italia, che necessita da tempo di un cambio di marcia in termini di investimenti pubblici. Certo è che lo stallo ministeriale rappresenta un’occasione da cogliere per le opposizioni.

Se il discorso Tav è già stato presidiato dal Partito Democratico con l’avamposto Chiamparino, il sostegno alle Grandi Opere fa parte del patrimonio genetico di tutti i partiti di centrodestra, che lo hanno inserito nel programma elettorale presentato un anno fa. L’Autostrada del Sole, la prima grande infrastruttura d’Italia, che tanti vantaggi ha portato al Paese grazie all’unione tra nord e sud, non avrebbe mai visto la luce se fosse stato per il Partito Comunista dell’epoca, che nel ‘64 fece uscire sull’Unità un’analisi costi-benefici viziata dallo stesso errore di logica di quella del M5S sulla Tav. Con la differenza che il PCI era all’opposizione mentre i 5 Stelle governano.