Dopo oltre tre anni di aspri scontri, il Parlamento Europeo esce con l’approvazione della nuova direttiva sul Copyright. Fase epocale per la condivisione di contenuti in rete all’interno dell’Unione Europea, con un Parlamento protagonista e attore principale di un testo che, sebbene partito con l’etichetta di rivoluzionario, è arrivato alla conclusione come molto buono. Un Parlamento che, grazie anche alla grande forza ed esperienza del suo presidente, italiano, Antonio Tajani è passato dalla marginalità ad una assoluta centralità politica.
Il tema è spinoso e riguarda i rapporti tra utenti ed Internet, tra gestori di piattaforme di condivisione e generatori di contenuti, tra fruitori e produttori. La direttiva infatti estende alle piattaforme online gli obblighi del diritto d’autore: Google, YouTube, Facebook e Instagram (ad esempio) saranno responsabili dei contenuti che gli utenti caricano, con l’obbligo di intervenire in caso di violazione del copyright.
Le piattaforme online dovranno negoziare con editori e artisti il pagamento di un compenso per l’utilizzo dei contenuti e di poter ridiscutere gli accordi già esistenti ma considerati troppo bassi.
I creativi hanno diritto a una quota delle entrate legate al diritto d’autore. Tradotto: i giganti del web dovranno condividere con i singoli autori i ricavi dei contenuti. Non sono previsti costi per i consumatori. E’ un po’ come avviene nel mondo off line: un proprietario di un bar paga la SIAE per le musiche suonate da un determinato gruppo all’interno del suo spazio.
Chi usufruisce di un contenuto online e lo vorrà condividere non dovrà pagare nessuna tassa. Nessuna limitazione è prevista per contenuti come caricature e parodie (meme e GIF).
I link agli articoli potranno essere condivisi liberamente dagli utenti o da piattaforme come Google News, aggiungendo solo piccoli frammenti del testo (snippet), singole parole o brevi estratti.
Le citazioni, le critiche, le recensioni e le parodie sono escluse dalla direttiva così come i contenuti caricati nelle piattaforme di condivisione di contenuti senza scopo di lucro (Wikipedia) o piattaforme per la condivisione di software open source (GitHub).
I contenuti per l’insegnamento e la ricerca scientifica non rientrano nel provvedimento. La stessa Wikipedia ha ammesso di non essere toccata dalla direttiva.
Ma come dicevamo il tema è spinoso. Intanto, come dicevamo, si tratta di una direttiva e non di un regolamento. Cosa cambia? Che gli Stati sono certamente obbligati a seguire le linee guida che sono state votate ieri ma hanno discrezionalità. Avremo dunque, tra un paio di anni, 27 nuovi regolamenti nazionali?
E qui nasce il primo problema: rischio disomogeneità normativa europea, tema sul quale siamo attaccabili non soltanto in materia di Copyright….
Secondo argomento: le tempistiche. Per avere una legge precisa si deve ancora passare dal Consiglio Europeo per l’approvazione e poi, come dicevamo, dai parlamenti degli Stati membri. Due anni sarebbe un tempo ottimistico, nonostante il tempo con cui cambia la società oggi è così veloce da far sembrare uno, due o tre anni un lasso di tempo quasi infinito.
Terzo punto: l’incertezza giuridica derivante dall’obbligo per gli Stati membri di non imporre alle piattaforme online un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti caricati dagli utenti. Come si adegueranno i colossi del web? Saranno mesi di trattative e incontri serrati, gran da fare per le lobby.
Quarto punto: aumento dei costi. Ad oggi è difficile capirlo o realizzare una stima. Come per il barman che paga la SIAE, è difficile capire quanto riversa questa quota sui propri clienti. Forse impossibile. Chiaro è che gli introiti per gli artisti aumenteranno, e di molto.
Siamo nella seconda repubblica del mondo della Rete? Non potremo saperlo se non tra una manciata di anni. La strada intrapresa è sicuramente per noi quella giusta: da un lato il lavoro dei generatori di contenuti sarà ripagato e dall’altro i fruitori di informazioni potrebbero finalmente avere una quasi certa possibilità di leggere notizie reali. Non è poco.