Ci risiamo con le bombe. Ebbene sì, a cinquant’anni esatti dall’inizio di quella che è stata definita una delle pagine più buie d’Italia, la stagione degli attentati dell’Autunno caldo, siamo di fronte, forse, ad una nuova “stagione calda”.
Nel 1969 si cercava si sovvertire il potere democratico, oggi gli obiettivi sono cambiati.

Firenze Rovezzano, incendio doloso ad una cabina dell’alta velocità. Operai al lavoro (foto Gianluca Moggi/New Press Photo)

22 luglio 2019, è l’alba. Uno straccio imbevuto di benzina in mezzo ad un groviglio di cavi della stazione ferroviaria di Rovezzano. Un accendino anti vento. Boom. Sistema ferroviario italiano paralizzato. Si parla di migliaia di persone bloccate sui binari in tutta Italia. Perché sì, in quel groviglio di fili, c’è il cervello dell’alta velocità italiana.

La Digos, come il ministro degli Interni, non hanno fatto fatica ad individuare, nel mondo anarchico, la colpevolezza di un gesto forte, un vero attentato allo Stato italiano.

Rispetto a cinquanta lustri fa è cambiato il mondo. È cambiato più e più volte. Ed è anche cambiato l’obiettivo di questa generazione di individui che se la deve prendere per forza contro qualcuno.
Stavolta il gesto forte è avvenuto a ridosso di una sentenza che vedeva alla sbarra tre anarchici accusati di aver buttato una bomba contro una libreria di Casapound. Arriverà nel pomeriggio la sentenza di condanna a oltre nove anni di carcere. Che quello di Rovezzano sia stato un segnale specifico? Che sia stato un gesto contro qualcosa di più grande o addirittura un gesto di un singolo folle? Questo le indagini lo stabiliranno. Intanto la pista anarchica è quella che prende più piede alla luce anche di una sorta di rivendicazione, forse meglio chiamarla condivisione, visto il messaggio

All’alba, nella prima periferia del capoluogo toscano, una cabina elettrica dell’Alta Velocità si è surriscaldata al punto da andare in fiamme. Sarà stato un caso? Una coincidenza? Una «vile provocazione»? Oppure, più semplicemente ed umanamente, un gesto d’amore e di rabbia?

Apparso su un blog di “area” in un post dal titolo “La strategia della lumaca

Viene facile immaginare un paragone con le Brigate Rosse, anche se (opinione nostra) questi gruppi non hanno molto a che fare. Oggi i discepoli dell’anarchia sono meno idealisti, meno nazionalisti, meno a vocazione internazionale. Qui la battaglia è legata al territorio, alle lotte sociali, all’accoglienza e anche alle Grandi Opere che invadono i singoli territori. In comune c’è il mezzo utilizzato per lo scopo: destabilizzare il sistema, inasprire il clima sociale, rendere meno sicura la vita delle persone comuni, attirare attenzione.

Rispetto al lontano 1969 c’è internet. Oggi il mondo della comunicazione ha subìto una grandissima rivoluzione: circolano meglio le informazioni e circolano più rapidamente; l’interconnessione poi è il fattore che ci rende tutti più vicini. L’abbattimento delle distanze è stato senza ombra di dubbio un elemento dal quale gli anarchici sono partiti per ridar vita al piano della sovversione che da qualche mese è diventato un vero fattore.
Inizierà un periodo della paura? Avremo di nuovo una stagione calda? L’Italia rischia di essere un paese meno sicuro?

A quest’ultima domanda verrebbe da dare una risposta di pancia: sì, l’Italia già è un Paese poco sicuro. Un accendino comprato in strada, per esempio, può essere la causa del blocco ferroviario dell’intera nazione. La domanda su come è stato possibile lasciare un’area così importante fuori controllo e sorveglianza non può essere lasciata inevasa, anche perché i campanelli d’allarme suonavano piano, ma suonavano: gli scontri in Val di Susa ad esempio, o l’appello all’unione delle sigle anarchiche lanciato da Alfredo Cospito, uno degli anarchici condannati al processo Scripta Manent conclusosi il 24 aprile scorso.

Aula Bunker alle Vallette di Torino. Foto de La Stampa

Il mondo però è cambiato anche per chi è da quest’altra parte, ovvero le forze dell’ordine e le autorità giudiziarie. Internet ce lo hanno anche loro, ed anche molti soldi che lo Stato spende per questo genere di indagini (Scripta Manent è costato 2 milioni di euro). C’è da sperare che vengano beccati gli attentatori e che per loro ci siano pene giuste.

La libertà è un bene che va difeso, a tutti i costi.