Ogni settimana si assiste alla conta dei danni da maltempo. Estate, inverno e nelle mezze stagioni. In un decennio, secondo le stime della Coldiretti, ci sono stati danni per oltre 14 miliardi di euro. Una cifra monstre per gli agricoltori italiani.

Eppure è così, basta aprire con regolarità i quotidiani per capire la portata degli eventi atmosferici che sempre più impattano violentemente sul suolo italiano.

Frane, smottamenti, allagamenti, campi distrutti con il loro raccolto, serre spazzate via, rimessaggi scoperchiati e anche numerosi capi di bestiame rimasti uccisi. Sono queste le conseguenze dell’eccezionalità degli eventi atmosferici, sempre più figli della tropicalizzazione del clima. I cambiamenti climatici stanno mettendo a serio rischio il comparto dell’agricoltura italiana, soprattutto in questo momento storico dove la vendemmia e la raccolta delle olive è entrata nel vivo in ogni Regione d’Italia. E soprattutto in una fase dove la pandemia ha sconvolto le abitudini mondiali, ed anche degli italiani. A tavola ad esempio, dove i consumi si sono ridotti, secondi i dati pubblicati da Ismea, del 10% (valore circa 24 miliardi di euro).

La partita del consolidamento di un territorio fragile come il nostro è un argomento serio, dibattuto, ma mai realmente affrontato dalla politica. Perché se è vero che i cambiamenti climatici stanno interessando lo stivale, è anche vero che da molti decenni si assiste anche ad un selvaggio mutamento del territorio ad opera dell’uomo, con una cementificazione non sempre appropriata ed a volte al limite del selvaggio. I dati che ha fatto emergere Ispra parlano chiaro: ogni giorno vengono sacrificati sull’altare del cemento 14 ettari di terreni destinati all’agricoltura. Negli ultimi 25 anni l’Italia ha perso il 28% della superficie agricola utilizzabile. Coldiretti ha contato esattamente 12,8 milioni di ettari destinati alla lavorazione agricola del terreno, niente di più.

E allora cosa si può fare per cercare di mettere al riparo il nostro territorio da questi avventi avversi? Evitare il più possibile di vedere intere aziende in ginocchio con scarse possibilità di riprendersi?

La prevenzione è l’unica arma che abbiamo, servono investimenti importanti per il dissesto idrogeologico. E qui entra in campo il Recovery Fund (il Fondo di Recupero per dirla alla italiana) che l’Europa ha stanziato per arginare l’abbassamento del Pil degli Stati europei. Cifre importanti, che l’Italia dovrà saper gestire, e programmare in fretta. L’auspicio è che buona parte di queste risorse possano essere destinate per il sostegno allo sviluppo del territorio ed alla salvaguardia di esso.

Ma il Recovery, da solo, non basta. Servirebbe anche che le Regioni italiane riuscissero a gestire meglio i fondi europei, nei famosi settenni, attraverso una sburocratizzazione delle procedure di accesso al credito per imprese ed enti locali. Senza questo sforzo, continueremo ad assistere al mancato impiego dei tanti finanziamenti che la Comunità Europea mette a disposizione delle singole Regioni, magari con la conseguenza che le economie non spese in Italia, vengano destinare a Regioni più virtuose nelle altre Nazioni europee, continuando il moto di crescita a due velocità che sta caratterizzando questo inizio secolo dell’Europa.

E poi c’è l’agricoltura. Incentivare il ritorno dei campi deve essere una priorità per questo Governo, e quelli che verranno. Recuperare spazio agricolo significa anche nuove opportunità di lavoro.

I prossimi mesi saranno determinanti per capire la direzione verso cui l’Italia andrà. Incrociamo le dita…